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Rune




  CHRISTOPHER FOWLER

  RUNE

  (Rune, 1990)

  A Jim Sturgeon, grande amico

  e critico costruttivo

  Ho grosso debito di gratitudine con M.R. James per il suo

  racconto «Come distribuire le rune» e con Jacques Tourneur

  per la sua interpretazione del 1958 del film La notte del

  demonio. Anche il volume di D. Jason Cooper Usare le Rune

  mi è stato di grande aiuto. Un ringraziamento speciale va a

  David Coultas della Xerox, a Martin "Monkey" Butterworth e

  a Mia Matson della casa editrice Century, e a Graham

  Humphries che ha realizzato la copertina della prima edizione.

  Ringraziamenti ancor più caldi per Ann Suster

  e Deborah Beale per la loro inquietante - anzi, direi

  addirittura spettrale - collaborazione e precisione redazionale.

  Grazie anche a Jane Selley, e a Rosie Cheetham, che mi

  hanno sempre sollecitato a non mai scordare il dovere

  quotidiano.

  E un grazie gigantesco come un olocausto nucleare al mio

  agente, Serafina Clarke, per aver sempre saputo le risposte

  quando io non mi ero ancora posto le domande.

  Un grazie speciale a Richard Woolf, perché è quello che è.

  1

  Willie

  Nelle strade di Londra, nessuno nota un uomo che corre.

  Quell'uomo, però, era diverso. Era vecchio, sulla settantina almeno, ed era spaventato. Aveva attraversato di corsa Soho, e adesso ansimava appoggiato alle impalcature edili che sporgeva­no dagli edifici di Carnaby Street. L'acquerugiola sporca gli filtrò sulle spalle della giacca, annerendole. Guardando a destra e a si­nistra, l'uomo si lanciò di nuovo nella via, costeggiando il traffico paralizzato, producendo coi passi un battito cadenzato. Sapeva di essere troppo vecchio per correre, ma era troppo spaventato per rallentare.

  All'inizio del secolo, il traffico londinese percorreva la capitale a una media di diciotto chilometri l'ora. Novant'anni dopo, la ve­locità era scesa a circa nove chilometri. E in Regent Street, in una piovosa giornata d'aprile all'una del pomeriggio, il traffico si era fermato del tutto. La pioggia martellava i cofani pulsanti dei taxi neri che tentavano di districarsi e superare gli incroci intasati che si trovavano più avanti. Trovandosi prigionieri di una marea di acciaio fumante, i pedoni contrariati si insinuavano tra i pa­raurti luccicanti, cercando di raggiungere indenni il marciapiede opposto.

  In Great Marlborough Street il diluvio aveva scurito la facciata di legno di Liberty's, e le grandi sale Tudor arredate coi resti del naufragio dell'Impregnable proiettavano una luce color zaffera­no sui veicoli bloccati nella via sottostante. Una tipica brutta giornata primaverile londinese. Sembrava notte.

  All'angolo di Kingly Street, il dolore lancinante al fianco di­venne così intenso che il vecchio, esterrefatto, si piegò su se stesso e cadde sul marciapiede, bagnando le ginocchia dei cal­zoni sul selciato.

  Il calore interno del suo corpo stava aumentando, in contrasto con l'umidore gelido della pelle. Assurdamente, pensò che se non fosse stato colpito da un infarto probabilmente avrebbe pre­so il raffreddore. Rimase rannicchiato per un minuto, lasciando che il dolore al fianco si attenuasse. Una donna anziana gli passò accanto, esitò, poi tornò indietro e gli chiese se stesse bene. Lui voleva risponderle sì, grazie, invece si ritrovò a urlare delle cose terribili, e la donna inorridendo si allontanò allarmata, proprio come aveva fatto la signora indiana alcuni minuti prima in Frith Street.

  Il vecchio si chiese se dovesse provare ancora a telefonare a Harry, poi ricordò che le monete gli erano cadute dalle mani tre­manti. Inoltre, suo figlio non avrebbe mai creduto agli orrori che lui vedeva, no? Era rimasto accovacciato troppo a lungo, e av­vertì delle fitte infuocate alle gambe, alzandosi. Il semaforo or­dinava "alt" quando riprese a correre barcollando, e quando arrivò al cordone del marciapiede opposto aveva la vista anneb­biata da lacrime di dolore. I muscoli del petto gli bruciavano: erano contratti, limitando l'afflusso di sangue al cuore. Il suo re­spiro adesso era una serie di ansiti irregolari. In modo vago, ri­cordò di dovere percorrere solo un breve tratto prima di raggiun­gere... cosa? La salvezza? Era una possibilità che non aveva osa­to prendere in considerazione fino a quel momento.

  Avvicinandosi all'estremità della via, scorse una faccia sbigot­tita dietro un parabrezza, e si udì uno stridore di freni mentre l'automobilista cercava di evitare la collisione con quella strana figura forsennata. Lo vedranno che sono posseduto dai demoni! Deve vedersi! pensò il vecchio. Sembrerò un pazzo fuggito dal manicomio. Forse, se si fosse girato a guardare, avrebbe visto scendere dalle nubi, assieme a una pioggia nera, un codazzo di diavoletti mandati a tormentarlo. Rallentando, calpestò i rifiuti fradici provenienti dai negozi di paccottiglia turistica della vicina Carnaby Street, e tirò la cintura della giacca per stringerla, ma la striscia di tessuto bagnato era come incollata all'indumento e si rifiutò di scorrere. All'angolo di Beak Street, l'acqua gorgoglia­va sui tombini ostruiti dagli involucri di McDonald, inondando i canaletti di scolo. Anche lì la strada era piena di auto e furgoni immobili, coi guidatori rassegnati a una lunga attesa.

  Il vecchio svoltò in modo così precipitoso che oltrepassò il marciapiede, sbandando nella via allagata. Era ormai allo stre­mo delle forze quando imboccò il vicolo che portava al parcheg­gio a più piani di Brewer Street. Si rese conto che, in preda al pa­nico, aveva fatto un tragitto più lungo del necessario, ma non aveva più importanza.

  Nel vicolo c'erano diverse automobili, alcune coi ceppi alle ruote, e un grosso camion incuneato tra i muri con due pneuma­tici sul marciapiede.

  Attraverso la cortina di foschia grigia che calava dall'alto, si intravedeva appena il parcheggio in fondo al vicolo. Il vecchio portò la mano alla tasca della giacca che conteneva le chiavi della piccola Renault. Il peso delle chiavi, e la vicinanza della salvez­za, gli produssero un senso di sollievo. Col cuore che gli martel­lava, si scostò i capelli inzuppati dagli occhi e rallentò la marcia fino a un passo normale.

  Avvicinandosi al veicolo parcheggiato di fronte, si tenne verso l'interno, scegliendo il percorso tra la fiancata del camion e il muro dell'edificio. Passando accanto alla cabina, non si accorse che le luci di posizione si erano accese, che l'autista stava girando la chiave di accensione, non sentì lo scoppiettio del motore.

  Giunto a metà della fiancata del camion, procedendo più len­tamente nel tunnel umido formato dall'autocarro e dal palazzo, notò che la parete d'acciaio alla sua sinistra si stava spostando a poco a poco. Il conducente fece avanzare piano il camion, e le enormi ruote si mossero lungo il bordo del marciapiede cercando il contatto col fondo stradale.

  Il vecchio si fermò e guardò avanti a sé, allarmato. Dal lato del camion sporgevano di parecchi centimetri alcuni montanti d'ac­ciaio. Normalmente, venivano usati per legarvi delle corde. Ora assumevano un aspetto letale. Avevano cominciato ad avanzare verso di lui con rapidità spaventosa.

  Il poveretto aveva quasi superato il camion, correndo così rasente al muro scabro da strapparsi la giacca, quando si rese conto che l'ombra della morte era calata su di lui. Uno dei montanti gli agganciò l'ampio passante della cintura della giacca, sollevando­lo violentemente da terra, spingendolo indietro, girandolo verso la parete di mattoni. Il suo grido straziante si fuse col rombo del potente motore diesel del camion, mentre veniva schiacciato contro il muro e trascinato per una decina di metri. L'urlo era cessato da un pezzo quando il conducente inorridito smontò dal­la cabina e raggiunse la vittima. Nel riquadro buio sul lato sini­stro del camion, si scorgeva solo una figura raggomitolata, gron­dante, lacera, che penzolava dalla fiancata del veicolo. La parte anteriore era ridotta a un groviglio di ossa sporgenti che luccica­vano sotto la pioggia
e di brandelli di pelle.

  2

  Harry

  Darren Sharpe era un uomo massiccio, arcigno, con una testa quadrata, ampie spalle quadrate e mani con dita simili a salsicce, che si sfregava continuamente sui calzoni. Stando di fronte alla finestra affacciata sul verdeggiante angolo di sudest di St. James Square, oscurava quasi il pallido sole pomeridiano. Negli ultimi tre quarti d'ora, il gruppo riunito davanti a lui aveva ascoltato pazientemente i risultati di una serie di analisi statistiche, ricer­che di mercato, rapporti dietetici e sondaggi casuali; una massa di percentuali e di calcoli che servivano a dimostrare in modo incontrovertibile che il mondo, nell'ultima decade del ventesimo secolo, più di qualsiasi altra cosa aveva bisogno di una nuova be­vanda gassata alla frutta.

  — Harry, sei stato insolitamente silenzioso fin dall'inizio. Non hai nulla di utile da aggiungere prima che concludiamo? — Shar­pe aspirò forte da un enorme sigaro cubano, poi se lo tolse dal­l'angolo della bocca e ne esaminò la punta. Come al solito, si era spento.

  Harry Buckingham alzò lo sguardo dai propri appunti, con un sussulto interiore di apprensione. L'insegnante, a quanto pareva, aveva sorpreso l'allievo distratto. L'aria nella stanza era diventa­ta secca e surriscaldata, e lui stava scivolando in un piacevole sta­to di torpore quando la voce di Sharpe l'aveva richiamato, ripor­tandolo bruscamente al presente. Il problema, naturalmente, era la notevole familiarità di Harry con quella campagna pubblicita­ria, e come diceva il proverbio: Confidenza toglie riverenza. Har­ry non riusciva a capire perché il cliente impiegasse tanto a con­vincersi che il prodotto avrebbe funzionato. La sua titubanza aveva rovinato il ritmo della presentazione.

  Harry spinse da parte la cartella degli appunti e si girò verso il cliente, osservandolo bene. Una volta i tipi come costui erano una preda facile pensò. Li confondevi con un po' di stronzaggini pubblicitarie, e loro sganciavano i soldi. Ma guardatelo, questo. Un dirigente stanco coi capelli radi e un vestito dozzinale. Stimo­lante!

  — Grazie, Darren — esordì, piegando le braccia per mostrar­si rilassato e sicuro. Linguaggio del corpo. — Tralasciando i ri­sultati negativi dei test casuali, ritengo che non si possa negare che esiste uno spazio naturale nel settore di mercato C2 preado­lescenziale. Dal sondaggio nrg si evince che i ragazzini sono stu­fi di sentirsi propinare l'idea della salute e della genuinità. Ma sono certo che il nostro cliente preferirà delle previsioni circa l'ammontare delle vendite bimestrali dopo le inserzioni e gli spot televisivi locali, diciamo una serie di trenta supportate da serie di dieci.

  L'ambiguo gergo pubblicitario era qualcosa di innato in Harry Buckingham. Aveva sempre avuto la lingua sciolta, e biforcuta. In qualsiasi momento, poteva pronunciare frasi oscure che Hen­ry James sarebbe stato fiero di avere scritto, se si fosse occupato di marketing. Grazie a quella capacità aveva fatto molta strada, e ne avrebbe fatta ancora parecchia, ne era sicuro. Sorrise al cliente in modo incoraggiante. Era un sorriso che diceva: "Sono dalla tua parte. Fidati di me". Nel settore pubblicitario, fidati di me equivaleva a vai a farti fottere.

  Sharpe sembrava più interessato a riaccendere il sigaro che a formulare una risposta. Il cliente rimase inerte, un vegetale. Aspettando che accadesse qualcosa, Harry osservò gli esempi d'arte aziendale che predominavano nella stanza. Enormi riqua­dri a guazzo e pastello scorrevano tutt'intorno, in dolci curve raf­finate. Le immagini non andavano guardate direttamente. Dove­vano essere percepite con la coda dell'occhio, per creare uno sfondo armonico, come la musica in ascensore. Il cliente final­mente aveva aperto la bocca per dire la sua, quando bussarono alla porta ed entrò Eden. Di colpo, il silenzio nella stanza si fece assoluto, mentre i presenti fissavano il seno vistoso della ragaz­za. Di norma, solo un decesso poteva interrompere una riunione con il cliente.

  — Desiderano vedere il signor Buckingham — annunciò la se­gretaria sottovoce, come se fosse in chiesa. Harry si girò, per­plesso. Non gli risultava che ci fosse un altro appuntamento im­portante quel pomeriggio. Infatti sperava di filare via dopo la presentazione e andare a giocare a golf. — Chi è? — sussurrò a sua volta, anche se era evidente che tutti nella stanza stavano ascoltando.

  — La polizia — rispose Eden, imbarazzata.

  La polizia era una poliziotta, sola, e notevole. Alta, carnagio­ne chiara, formosa ma non grassa, ricordava una pin-up del do­poguerra. I capelli ramati erano pettinati all'insù, un'acconcia­tura affascinante passata di moda verso la fine degli anni Cin­quanta. Anche il rossetto sembrava di una tinta antiquata, co­me si vedeva solo nei vecchi film in technicolor. La donna si presentò come sergente Janice Longbright del commissariato di Bow Street.

  — Signor Buckingham. — Gli strinse la mano; una stretta de­cisa, asciutta. Aveva una voce bassa e gradevolmente roca; Joan Greenwood in Sangue blu. — Non c'è un posto dove possiamo parlare in privato?

  — Purtroppo in questi uffici è stato adottato il sistema dello spazio aperto — disse Harry. — Tanto vale che parliamo qui. Qual è il problema? — Dio, è impossibile che abbia accumulato tante multe per divieto di sosta da venire arrestato pensò. Il ser­gente Longbright lo fissò impassibile negli occhi, come se fosse abituata a comunicare cattive notizie nello svolgimento della sua professione. In effetti, normalmente avrebbe affidato l'incarico a un suo agente, ma trattandosi di un caso insolito aveva deciso di informare di persona il congiunto della vittima.

  — Si tratta di suo padre. Ha avuto un incidente.

  — Che tipo di incidente? È ferito?

  — Si sieda, prego. — Il sergente prese una sedia e fece acco­modare Harry. — È stato un incidente molto grave. Purtroppo, suo padre è morto.

  Un breve silenzio. Harry assunse un'espressione incredula. — Cos'è successo? — chiese sottovoce.

  — È stato investito in strada poco dopo l'una oggi pomeriggio. Abbiamo impiegato un po' a rintracciarla. — La Longbright si ri­volse a una delle segretarie. — Per favore, potrebbe prepararci una tazza di tè ben carico? — La segretaria si allontanò svelta.

  — Posso... vederlo?

  — Il signor Buckingham ha riportato delle ferite molto estese, e noi le sconsigliamo di vedere il corpo. Naturalmente, se pro­prio ci tiene, sono certa che possiamo provvedere.

  — Di chi è stata la colpa? Dell'automobilista? Mio padre è vecchio, la sua vista non funziona più come dovrebbe. — Harry si rese conto di usare il presente, ma non riuscì a correggersi. — Non ci vede bene — concluse.

  — C'erano alcuni testimoni — spiegò il sergente. — Tre o quattro persone hanno assistito all'incidente.

  — Perché non hanno fatto nulla per impedirlo?

  — Stavano guardando dalle finestre degli uffici vicini. Nessuno poteva intervenire in tempo per salvarlo. — La donna lanciò un'occhiata a Harry, che stava succhiandosi un labbro, con la te­sta china, meditabondo. — Se può esserle di conforto, mi hanno assicurato che ha sofferto pochissimo. È morto all'istante. — Os­servò la figura di fronte a lei, cercando di decidere se dirgli altro. Sembrava che stesse prendendo la notizia molto bene. Trattan­dosi di un incidente abbastanza strano, probabilmente ci sarebbe stato un trafiletto nelle edizioni successive dell'Evening Stan­dard. Da parte sua,«Harry era certo di apprendere entro breve tutti i particolari da qualcuno dell'ufficio. Sembrava che molta gente godesse nel riferire i minimi dettagli delle disgrazie.

  — Immagino che desideri restare solo per un po' — disse infi­ne la Longbright. — Possiamo parlare un'altra volta.

  — Quando? — Harry alzò la testa e la guardò con occhi stan­chi. — Ho già lasciato la riunione. Non posso tornare di là, ades­so. Dove posso trovare il conducente della vettura?

  — Alla stazione di polizia. Però non le consiglio un incontro del genere, a meno che non lo ritenga indispensabile.

  — Non perderò le staffe, se è questo che la preoccupa. Voglio solo farla finita il più in fretta possibile. Vengo con lei.

  — Benissimo. Ho un'auto, fuori. Posso darle un passaggio.

  — Mi lasci andare in bagno, prima.

  Nello s
pecchio sopra il lavabo, Harry studiò il proprio viso, co­me se cercasse qualche segno visibile di lutto, ma constatò che non era cambiato nulla. Le chiazze livide sotto gli occhi grigi che Hilary apparentemente trovava tanto affascinanti si erano accen­tuate negli ultimi tempi, ed era anche comparsa qualche ruga nello stesso punto. I capelli neri, lisci, si erano ritirati un poco, e la stempiatura era aumentata. Una lieve patina di barba comin­ciava a scurirgli il mento. Ma non c'era stata alcuna trasforma­zione improvvisa; nella sua immagine riflessa non c'era nulla che indicasse che adesso, per la prima volta in vita sua, a trentadue anni, tutt'a un tratto lui era libero da qualsiasi obbligo filiale.

  Provando un senso di colpa, Harry si chinò sotto lo specchio e si spruzzò un po' d'acqua fredda sulla faccia. Poi si risistemò la cravatta e tornò dal sergente che lo stava aspettando. Un minuto dopo, scendevano insieme i gradini dell'agenzia e salivano sul­l'auto della polizia.

  3

  Dorothy

  Era stato uno scherzo crudele per un edificio pubblico. La biblio­teca era stata eretta nell'anno dell'atto d'accusa a Oscar Wilde, e la sua situazione attuale rifletteva ironicamente quella caduta estetica, perché l'edificio gotico-vittoriano adesso era immerso in un crepuscolo perenne, sotto la grande ala di cemento di un moderno cavalcavia. Le ondate d'aria satura di piombo che lam­bivano la sua facciata di mattoni rossi tenevano lontano il pubbli­co dall'entrata, ma la biblioteca continuava a restare aperta per i pochi abitanti rimasti nella zona.

  Nei suoi corridoi, il parquet irregolare profumava ancora di cera alla lavanda, e nei passaggi tra gli scaffali c'era una penombra gradevole, ma gran parte della sezione di consultazione ades­so era incompleta. Dei libri rimasti, troppi avevano il dorso fra­gile e le pagine macchiate d'umidità, e quando si apriva la coper­tina scricchiolavano, come porte in case vuote.

  Per Dorothy Huxley quella era una biblioteca che evitava i ri­trovati moderni e continuava a riflettere un profondo rispetto per i libri. Lì non c'erano richiami vistosi per attrarre i giovani disinteressati e invogliarli alla lettura. Quello non era un posto per divertirsi, ma per studiare sodo e applicarsi. E dato che il co­mune non trovava fondi disponibili per ristrutturare la bibliote­ca, era un bene che a Dorothy piacesse così. Negli ultimi tempi, la biblioteca era riuscita a scongiurare la minaccia persistente di chiusura solo grazie all'appoggio di organizzazioni locali, e la gratitudine di Dorothy era immensa. Dopo tutto, lavorava lì co­me capo bibliotecaria da oltre vent'anni. Ora, mentre assisteva allo svuotamento degli scaffali e al calo dei frequentatori, si ri­trovava a chiedersi cosa avrebbe fatto quando fosse arrivato il giorno fatidico.