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Rune Page 5


  — Affascinante. E questo cosa diavolo c'entra col nostro uo­mo?

  — Sembrerebbe che il signor Dell sia stato in un posto del ge­nere nelle ultime quarantott'ore. Dammene un sorso. — May si allungò e prese la tazza dalle mani di Bryant. — C'è un parassita microscopico che si trova esclusivamente sull'impala, un parassi­ta innocuo che può trasmettersi all'uomo. Dell ne aveva addosso un'infinità. — Finì il tè del collega e si alzò. Bryant cercò di imitarlo ma ebbe difficoltà a staccarsi dalla sedia, e si dimenò come un bambino avvolto in troppe coperte finché May non lo aiutò con uno strattone.

  — Dove andiamo?.

  — Da Finch.

  Oswald Finch produceva lo stesso effetto su tutti quelli che lo incontravano. Li deprimeva a morte. Era un ottimo patologo, un uomo non incline alle deleghe, che preferiva fidarsi del giudizio del proprio cervello e dell'esperienza delle proprie mani. Pecca­to che puzzasse tanto. Dopobarba scadente, almeno un litro, de­cise Bryant, osservando Finch che si sciacquava al lavello bioptico. Lo metteva per mascherare il tanfo delle sostanze chimiche che gli macchiavano il camice. L'odore dolciastro e nauseabondo di violette appassite, invece, impregnava la sua persona con un'intensità emetica. Alto e magro, con un naso lungo e una te­sta stempiata e scarmigliata, a Bryant ricordava uno Stan Laurel allungato.

  I due investigatori si erano augurati di trovare Finch in ufficio. Non gradivano molto l'idea di parlare con lui accanto a un cada­vere appena aperto. Il personale medico legale in genere dava garanzie di comportamento discreto quando erano presenti dei visitatori. Finch non sembrava mai preoccuparsi di quella parti­colare forma di riguardo.

  — Arthur, John. — Finch si girò a salutarli, finendo di asciu­garsi le mani. — Siete fortunati. Ho appena richiuso il vostro uo­mo. Se devo essere sincero, mi stavo chiedendo come diavolo sti­lare il rapporto senza sembrare scemo. Credo che vi sorprenderà quello che abbiamo scoperto. — Lasciando l'obitorio silenzioso biancoverde coi suoi tavoli d'acciaio, li condusse in un piccolo uf­ficio dai tramezzi di vetro. Si sedette sul bordo della scrivania, accompagnato da uno scricchiolio delle giunture delle gambe.

  — Avevate ragione, non è annegato. Come certo saprete, l'annegamento non è altro che soffocamento, interruzione del­l'ossigeno che va al cervello. Si può morire per uno spasmo larin­geo cadendo semplicemente in acqua, quello che noi chiamiamo annegamento "secco". Quando una nave affonda, i passeggeri a volte muoiono per arresto cardiaco quando finiscono in mare. A proposito, si annega più in fretta nell'acqua dolce, lo sapevate? L'acqua salata ha una pressione osmotica maggiore rispetto al sangue, così non penetra nella membrana respiratoria, anche se naturalmente la concentrazione di cloruro...

  — D'accordo, ti piace il tuo lavoro, Oswald, ma è proprio ne­cessario questo? Sappiamo che è annegato in acqua dolce, sem­pre che si possa definire tale quel canale.

  — Scusate, pensavo che v'interessasse. Va bene, torniamo al nostro uomo. Normalmente, pochissima acqua entra nei polmo­ni perché il muco presente nelle vie respiratorie si trasforma in una schiuma densa quando la vittima cerca di respirare. Se però entra nei polmoni, l'acqua li dilata come palloncini, ma in questo caso né la dilatazione dei polmoni né la composizione del sangue nel cuore presentavano quelle caratteristiche particolari tipiche dell'annegamento. All'esterno del corpo, di solito si vede un ve­lo di bollicine sulla bocca e sulle narici. Tuttavia, Dell è rimasto in acqua tutta la notte, e qualsiasi formazione di bollicine even­tualmente presente si era dissolta da un pezzo. Si può stabilire con precisione l'ora dell'immersione osservando il raggrinzimento delle mani e dei piedi. Direi che Dell è finito nel canale verso le nove di sera del giorno prima. Poi abbiamo eseguito i test delle diatomee...

  John alzò l'indice. — Per stabilire se Dell era vivo o morto quando è caduto nel canale, vero?

  — Giusto. Le diatomee sono alghe microscopiche con una membrana silicizzata. Ne esistono più di quindicimila specie di­verse, e si trovano nelle zone più disparate. Se un corpo è in pre­da agli spasmi dell'annegamento, le diatomee penetrano nei pol­moni e nel circolo ematico, e vengono pompate attraverso il cor­po fino al cuore. Se Dell fosse stato già morto quando è finito in acqua, avremmo trovato delle diatomee solo nelle vie respirato­rie. Ecco il fatto strano. Non era morto quando è finito in acqua. Però per me non è annegato, ne sono sicuro. Aveva inghiottito una piccola quantità di alghe, dello stesso tipo di quelle che cre­scono in vari punti del canale.

  — Intendi dire che conosciamo l'identità della vittima, l'ora, il luogo, i particolari della morte, ma che non abbiamo una causa? — chiese Bryant.

  — Be', non è proprio così. — Finch prese una matita e ne fis­sò l'estremità, come se fosse imbarazzato.

  — Intendi dire che hai scoperto una causa?

  — Be', sì, però mi sembra assurda. Ecco, si tratta delle mani di Dell...

  — Le mani? — May si sporse in avanti. — Cos'avevano?

  — All'inizio è stato un problema vedere qualcosa, per via del raggrinzimento. Il palmo e il dorso erano pieni di piccoli segni di punture.

  — Forse ha afferrato gli arbusti mentre cadeva, in preda a un... come si chiama... uno... — disse Bryant.

  — Spasmo cadaverico — rispose Finch. — Non credo. Per me erano piccoli morsi. C'erano lesioni epidermiche circoscritte ab­bastanza estese, lesioni necrotiche tipiche delle punture d'inset­to. Ho fatto un esame tossicologico e alla fine ho trovato questo.

  — Finch allungò la mano dietro di sé e prese un tabulato dalla scrivania. — Latrodectus mactans.

  — Cosa diavolo sarebbe?

  — Un ragno... la vedova nera. Sono pochi gli aracnidi veleno­si. Perlopiù si trovano ai tropici, e di solito il loro veleno non è mortale per l'uomo. Le vedove nere provocano forti dolori ad­dominali, nient'altro. Però, la nostra sventurata vittima dev'es­sere stata attaccata da un numero davvero considerevole di ve­dove. Il veleno ha agito sul sistema nervoso, paralizzando Dell.

  — Quindi, assalito da crampi atroci, è ruzzolato nel canale. Non è riuscito a trattenere il respiro, e l'acqua gli ha riempito la trachea. È così?

  — Penso che questa sia la spiegazione più verosimile, Arthur.

  — Ci sono vedove nere nell'Africa centrale e meridionale?

  — Non ne sono sicuro — rispose Finch. — Credo che siano più comuni in America, negli stati più caldi. Perché?

  — Perché abbiamo un gestore di videonoleggi che, a quanto pare, ha viaggiato parecchio in tutto il mondo nelle ultime ore che hanno preceduto la sua morte — disse Bryant, esprimendo ad alta voce i pensieri del partner.

  9

  Gente in lutto

  Il funerale di Willie Buckingham si svolse giovedì mattina. Fu un evento squallido, anche perché c'era un sole abbagliante. Harry era sempre stato convinto che un funerale decente comin­ciasse con un accompagnamento di tuoni lontani, e che le prime gocce di pioggia dovessero cadere da un cielo cupo e ferito pro­prio mentre il parroco iniziava una triste, sommessa litania. Tut­tavia, sembrava che sarebbero mancate quelle condizioni atmosferiche.

  Il prete incaricato della sepoltura non poteva avere più di ven­ticinque anni. Aveva radi capelli biondi e una faccia grassoccia e rubiconda che dava l'impressione di essere stata strofinata ripetutamente con la paglietta. Forse in ossequio a qualche nuova se­rie di direttive, stava adottando un atteggiamento allegro e sbri­gativo riguardo il rito funebre.

  Dalla sua posizione privilegiata nella prima fila di panche, Harry osservò il prete, disgustato. Certo, è una circostanza triste, sembrava stesse dicendo, ma via, ragazzi, capita a tutti di morire, quindi godiamoci questa possibilità di fare quattro chiacchiere nel salotto di Dio.

  Harry guardò le pareti. Immagini dipinte di uova pasquali dappertutto. Non c'era traccia di santi torturati che lanciavano sguardi severi dall'alto, esortando alla penitenza. L'edificio ave­va tutta l'aria di essere stato costruito verso la fine degli anni Ses­santa. Dall'esterno, lo si sarebbe potuto scambiare per un fast-food. Quello era l'aspetto peggiore della Chiesa d
'Inghilterra, decise Harry. Era troppo benevola verso i suoi utenti. Come cul­to religioso equivaleva grosso modo all'agnosticismo. Non esige­va grandi sacrifici dai suoi seguaci, a parte una saltuaria ora di di­sattenzione la domenica mattina.

  Il pastore stava raccontando la storia di un vecchio taccagno che batteva i suoi asini. A quanto pare, Dio l'aveva ugualmente lasciato entrare in Paradiso.

  Ascoltando il prete che elargiva buoni consigli e allegria, al­l'improvviso Harry rimpianse di non essere ebreo. Gli ebrei sa­pevano piangere i loro morti con dignità e reverenza, rifletté. D'accordo, non aveva mai avuto un gran rapporto con suo pa­dre, però si era aspettato qualcosa di più di un paio di inni mo­dernizzati cantati frettolosamente, e di un vivace riassunto di tre minuti della vita del vecchio.

  Mentre la sparuta assemblea usciva adagio nel chiarore irrive­rente di uno sfolgorante sole primaverile, Harry osservò le altre persone presenti. A un'estremità della fossa c'erano due vecchie signore rugose in pelliccia di volpe, due professioniste consuma­te del lutto. Le ricordava vagamente: cugine di suo padre, viste l'ultima volta al funerale di sua madre sette anni prima. Rimase sorpreso vedendo che erano ancora vive tutt'e due. Accanto a lo­ro c'era una donna più giovane, una ragazza dell'ufficio di Willie Buckingham, molto grassa. La ragazza vide che lui la guardava e lo salutò con un sorriso smorto prima di abbassare gli occhi e fis­sare il fondo sintetico che circondava il bordo della fossa.

  Più in là c'era Beth Cleveland, la terribile virago che apparen­temente aveva una relazione con suo padre da diversi anni. Cor­reva voce che quel legame sentimentale fosse iniziato prima della scomparsa della signora Buckingham. Beth Cleveland spiccava accanto alla fossa come una sentinella di pietra, e la sua ombra oscurava le poche corone di fiori, spegnendone i colori. Aveva incontrato Harry una sola volta in passato, e gli aveva fatto capi­re in modo chiaro che non intendeva giustificare la propria esi­stenza con lui. Probabilmente, nemmeno lei approvava molto il modo di vivere di Harry. Harry si chiese come mai la coppia avesse convissuto senza sposarsi. Beth era più grande e grossa di suo padre. Harry non riusciva a figurarsi quei due che facevano colazione insieme, tanto meno a letto.

  Dietro di lei c'era un uomo elegante sui cinquantacinque anni, con un soprabito di cachemire, completo blu scuro, cravatta nera ben stretta, e scarpe lucidissime. Un collega di Willie, forse? Harry tornò a rivolgere la propria attenzione al prete, che si era interrotto di colpo e stava guardando impaziente l'orologio, co­me se aspettasse che i presenti sfilassero davanti a lui con l'offer­ta pronta. Non ci sarebbe stata nessuna veglia. Beth aveva volu­to occuparsi di tutto. Probabilmente, adesso avrebbe assunto il ruolo del vecchio cane fedele che non avrebbe mai lasciato la tomba del padrone, rifletté Harry.

  Mentre il gruppetto si disperdeva lentamente dato che non c'era alcuna disposizione alternativa da parte del prete, Harry vide che il signore elegante gli si stava avvicinando svelto.

  — Potrei parlarle un istante? — esordì l'uomo, posandogli in­certo una mano sulla spalla. — Che terribile, tremenda disgra­zia. Lei dev'essere il figlio.

  — Esatto. Lei? Temo di non conoscerla.

  — Mi scusi. Brian Lack. — Si strinsero la mano. — È venuto nel nostro ufficio una volta, ma non ci siamo visti. Ho avuto il piacere di lavorare col suo caro papà. Sono uno dei soci. — Brian aveva l'atteggiamento modesto di una razza in via d'estin­zione, l'Inglese Umile Schivo; era il tipo che, se gli si offriva una tazza di tè, rispondeva: "Solo se lo fa anche per lei".

  — L'azienda non è intervenuta con una rappresentanza molto numerosa, non trova? — chiese Harry, guardandosi attorno. — Credevo che foste in parecchi.

  — È accaduto tutto così all'improvviso — disse Brian con to­no contrito. — Parte del personale aveva già degli impegni que­sta mattina. Gli affari devono continuare, dopo tutto. Natural­mente, ci mancherà tantissimo suo padre.

  — Willie non lavorava più in ditta a tempo pieno, vero?

  — Vero, però aveva ancora un ruolo di supervisore, era anco­ra nel consiglio di amministrazione... un uomo molto attivo, un esempio per gli altri. — Si era alzato il vento durante la cerimo­nia, e adesso stava cominciando a sollevare i capelli radi che Brian si era pettinato con cura sulla pelata. L'effetto era penoso per entrambi. Harry decise di tagliare corto e di concludere il colloquio il più in fretta possibile.

  — Credo che la signora Cleveland si stia occupando degli ef­fetti personali di mio padre. Farò in modo che si metta in contat­to con lei per vuotare il suo ufficio. Posso chiederle una cosa?

  — Certo — annuì Brian, ansioso di rendersi utile.

  — Ha visto mio padre recentemente?

  — È venuto in ufficio venerdì scorso. Stava addestrando alcu­ni dei nostri ragazzi, sa, gli insegnava a usare le attrezzature.

  — E ha parlato con lui?

  — Certo. Abbiamo pranzato insieme.

  — Come le è sembrato?

  — Oh, in perfetta salute, molto allegro. Insolitamente allegro, ho pensato.

  Harry corrugò la fronte, poi tese la mano. — È stato un piace­re conoscerla, signor...

  — Temo che ci saranno delle carte da firmare — si affrettò ad aggiungere Brian. — C'è la sua parte d'azienda da sistemare.

  — Il mio avvocato la contatterà. Ecco. — Harry prese un biglietto da visita dalla tasca e glielo porse. — Mi chiami, se c'è qualche problema.

  Brian si girò per allontanarsi, poi si fermò. — Sa, non l'avrei mai riconosciuta dalla foto.

  — Quale foto?

  — C'è una sua fotografia incorniciata sulla scrivania di suo pa­dre. E una foto di sua madre.

  Harry tornò alla macchina, perplesso. Così, il vecchio aveva le loro foto sulla scrivania. Era sorpreso, e anche un po' com­mosso.

  — Salve.

  Era appoggiata al cofano della sua auto. La cresta moicana neroblu spiccava sul cranio come il piumaggio di un uccello esotico. Indossava un impermeabile di gabardine da uomo, calze bianche e scarponi neri dm con la mascherina metallica in punta. Harry si guardò attorno per controllare se qualcun altro l'avesse notata. Grazie al cielo non aveva preso parte alla cerimonia funebre.

  — Ho pensato che non sarei stata bene accetta al funerale, co­sì l'ho seguito da qui. Non è durato molto, vero?

  — Probabilmente ne hanno un altro in programma subito do­po. Non vorrei sembrarle scortese, signorina Crispian, ma devo tornare in ufficio...

  Grace si staccò dalla luccicante bmw e si abbottonò l'imper­meabile. — Volevo parlarle. Potrebbe darmi un passaggio?

  Con la chiave infilata parzialmente nella serratura, Harry si gi­rò verso di lei. — Senta, non credo proprio che possiamo cono­scerei dopo quel che è successo.

  — Lo sa che non è stata colpa mia. La polizia ha detto...

  — Lo so cos'ha detto. Le credo, e credo alla polizia. Solo che non è giusto, non capisce?

  — Già, immagino che sia così. Solo che... se non parlo con qualcuno di questo... — Grace non terminò la frase. — Ho pau­ra a dover tornare su quel camion. Il solo pensiero mi fa star ma­le. Ma devo farlo o perderò il lavoro. Continuo a vedere l'inci­dente, ripetutamente.

  — Col tempo il ricordo svanirà, ne sono sicuro. — Harry aprì la portiera, poi alzò lo sguardo e vide che la ragazza si portava una mano pallida agli occhi. — Meglio che salga — le disse infine.

  Chiamò Darren Sharpe all'agenzia e lasciò un messaggio, di­cendo che avrebbe tardato ulteriormente per via del funerale. Mentre si avvicinavano a Waterloo Station e al ponte illuminato dal sole oltre la stazione, svoltò in una traversa, parcheggiò e condusse Grace in un piccolo snack bar spagnolo affollato. Riu­scirono a trovare un tavolino in un angolo appartato, si sedettero e ordinarono vino rosso e polpettine di carne.

  Su uno schermo televisivo sopra il bar, le immagini granulose girate da un turista mostravano la Jaguar di Meadows che scaval­cava la ringhiera del lungofiume.

  — Non è il posto migliore per mangiare, ma c'è pochissima scelta in questa zona — disse Harr
y, alzando la voce per coprire la musica flamenco registrata.

  — Non importa — disse Grace. Aveva gli occhi cerchiati, co­me se non avesse dormito bene. — Tanto, non ho mai abbastan­za soldi per mangiar fuori.

  — Io ho il problema opposto. Troppi pranzi d'affari coi clien­ti. — Harry si battè sullo stomaco e sorrise imbarazzato, consa­pevole dell'abisso finanziario che li separava. La ragazza aveva un aspetto terribile. Gli abiti di seconda mano, i capelli, la posa scomposta. La mancanza di capitale era solo una parte del suo problema. Probabilmente, voleva esprimere qualcosa, voleva scioccare per dimostrare che aveva conservato la propria individualità alla faccia del sistema, rifletté Harry.

  — Non dovrebbe continuare a pensare a quanto è successo — le disse. — È tutto finito. Dobbiamo dimenticare.

  — Non è così semplice. L'ho ucciso. La polizia sa cos'ho pro­vato. Non mi hanno nemmeno dato dei grattacapi per avere par­cheggiato sul marciapiede. Si rendono conto che non si può fare diversamente quando si trasporta qualcosa in quelle viuzze. Se non avessi acceso il motore proprio allora...

  — C'era una probabilità su un milione che accadesse. È stato un evento imprevedibile. Non può ritenersi responsabile. — Harry versò un bicchiere di vino, lo spinse verso di lei e la osser­vò mentre beveva. — Sa, mio padre e un paio di altri tizi aveva­no una piccola azienda. Si occupa di duplicazione fotografica. Sono andato là a prendere mio padre, una volta. Gli affari anda­vano bene, pare. Proprio non capisco. — Sorseggiò il vino, pen­sieroso. — Doveva esserci qualcosa che non andava, se mio pa­dre si è comportato in quel modo. Ho telefonato al suo dottore per scoprire se fosse in cura e prendesse qualche medicina. A parte un po' d'artrite, era sanissimo. Sembra quasi che avesse le allucinazioni quando è morto. Forse ha trovato Gesù.

  — Perché dice questo?

  — Le Preghiere del Diavolo.

  Grace gli rivolse uno sguardo interrogativo. Lui le descrisse la visita alla signora Nahree e le raccontò quello che gli aveva det­to.